Accesso ai servizi

Madonna delle Grazie e della Sanità



Chiese e devozione alla Madonna delle Grazie e della Sanità

Madonna delle Grazie e della Sanità


La devozione dei moranesi alla madre di Cristo, venerata sotto il titolo di Madonna delle Grazie, risale al periodo protocristiano e si è tramandata sino ai giorni nostri.

 

Segni tangibili dell’affetto con cui il popolo omaggia la Vergine s’incontrano negli scritti di diversi autori di storia patria: ne accennò nelle sue opere il celebre medico Gio’ Leonardo Tufarello - divenuto negli ultimi anni della sua vita canonico della Chiesa arcipretale dedicata ai principi degli apostoli Pietro e Paolo -; ne parla diffusamente il Salmena nel volume Morano e le sue case illustri; ne fa menzione il preposito Scorza nella sua Storia della città di Morano. Essi, pur scadendo nei loro lavori in frequenti sciovinismi, reminiscenze della mai definitivamente sopita lite sulla preminenza delle chiese parrocchiali, che tanto dolore e danno ha recato allo stesso clero e alle anime, concordano nell’individuare nella Madonna delle Grazie la prima patrona di Morano. Solo nel 1496 si associò alla di Lei protezione quella di san Bernardino da Siena, dopo che, scrive il Salmena, “venendo il (gran capitano Consalvo) a Morano (per sottometterla al giogo Aragonese) incontrò un frate che caldamente gli raccomandò la città, la quale, giusta questa versione, in effetto nulla soffrì. Entrato Consalvo nella Chiesa di S. Bernardino, riconobbe nella statua di legno il santo monaco che gli era apparso e che in modo misterioso gi aveva raccomandato ed imposto di risparmiare questa popolazione. Il gran Capitano depose la spada ai piedi della statua, e da quel tempo la città nominò san Bernardino per secondo protettore; mentre prima protettrice ne fu sempre la Madonna delle Grazie”.

Ed è sempre il Salmena, sull’argomento prodigo di notizie, che ci sovviene riconducendo al 56/60 d.C. la fondazione di un piccolo tempio, fuori dall’abitato, votato alla Madonna delle Grazie (divenuto tra il 1450 e il 1460 succorpo della chiesa San Nicola di Bari, elevata in quegli anni, registrata nella platea della curia di Cassano del 1491) ed eretto dai moranesi dopo essersi convertiti al cristianesimo mercè la predicazione di Stefano di Nicea, discepolo di Paolo. La qual cosa assevererebbe, fra l’altro, l’importanza di Morano nel I secolo, al pari di Taranto, Reggio (dove san Paolo è sbarcato nell’anno 60) ed altri centri convertiti dagli apostoli.

 

L’edificazione della nuova chiesa votata a San Nicola di Bari, se non affievolì la devozione a Maria certamente ne ridusse l’afflusso dei fedeli all’antico ritrovo sottostante, il quale, privato del consueto ingresso autonomo e raggiungibile esclusivamente dal locale superiore, subì un graduale inarrestabile processo di ridimensionamento e distacco.

              

Come detto, la Madre del Salvatore ebbe da sempre nel cuore dei moranesi un posto di prim’ordine. Condizione che, nel XVII secolo, in corso la vexata quaestio sulla preminenza, spinse don Veneziano Barbastefano, arciprete in San Pietro dal 1646 al 1670, ad erigere in onore della Vergine una pieve extra moenia più dignitosa e meglio arredata della più antica consorella. Si legge nel diurnale dell’arciprete Barbastefano: “A 6 di giugno 1655. Ho messo e benedetto la prima pietra in S. Maria delle grazie per la nuova chiesa. Si edifica da me per devozione della gloriosa Vergine madre di Dio, avendone prima avuto licenza da mons. Ecc.mo Carrafa Vescovo di Cassano ed essendomi stato venduto il terreno, cioè ottanta palmi di lunghezza e cinquanta di larghezza dalla mag.ca Giulia di Feulo e don (…) Filomena suo marito per ducati dieci, che avevano offerti a Maria per grazia ricevuta. Nella quale solennità furono presenti quasi tutti li cittadini di Morano tutti li cleri e religiosi. Dello quale atto si fa pubblico istrumento da notar Nicolao (D’Attano?), si conservano la copia nella mia casa (…). In tal giorno si mette la rima pietra e si continuerà ad edificare ad onore di Maria vergine; et spero proseguirà sino alla fine, impetrandomi la madre di Dio salute e forza. Amen”.

In questa pieve, ormai completamente diruta, ultimamente alienata a soggetti privati, si recava la popolazione nel mese di maggio, in occasione della festa della bandiera per “fare pubblico solenne ringraziamento per la vittoria riportata contro i mori”. Con la morte del fondatore, la Madonna delle Grazie - di proporzioni generose, munita di luogo distinto per le sepolture e di un altare sormontato da un mirabile affresco in stile quattrocentesco (Madonna in trono con Bambino in braccio e due santi, forse s. Antonio e s. Francesco di Paola) sottratto alle intemperie e all’incuria umana da un corposo intervento di recupero della fine degli anni Ottanta e trasferito nel primo altare della navata sinistra dell’arcipretura, ove ora si può ammirare – subì un primo rallentamento, sino a divenire malinconico domicilio per randagi e rettili, infestato da rovi e sterpaglie. La triste cronaca del suo progressivo decadimento si ricava da alcune carte dell’archivio parrocchiale: in esse si narra del dissacrante saccheggio di blocchi tufacei, travi in legno e marmi vari, riciclati per costruire e riparare civili abitazioni (stessa sorte che toccò ad altri edifici quali, per citare i più importanti, il castello feudale e il monastero di Colloreto).

 

La devozione a Maria, venerata sotto il titolo di Madonna delle Grazie, rifiorì nel 1888 allorché l’arciprete Salvatore Salvati avviò l’edificazione del “tempietto” lungo la strada che dall’antica Consolare, poi SS 19 delle Calabrie, attualmente S.P. 241, collega la contrada Terrarossa con la zona alta dell’abitato antico di Morano.

 

Elementi architettonici e artistici della chiesa della Madonna delle Grazie.

L’edificio non presenta criticità strutturali, appare, anzi, solidissimo, sebbene soggetto ad accentuata umidità nella parete ovest interposta tra il sacro ambiente e il retrostante costone roccioso. E’ costruito su base rettangolare a navata unica con volta a botte, delimitata sui due lati da tre grandi archi retti da lesene con capitelli, di ordine dorico, sovrastati da ampie e luminose finestre. Il soffitto è guarnito a stucchi con eleganti motivi floreali e figure angeliche, mentre sul grande arco che domina il presbiterio spicca l’insegna della famiglia Salvati. E proprio il presbiterio, rialzato di una ventina di centimetri rispetto al pavimento, tutto in cotto, ospitava inizialmente l’altare maggiore in cocciopesto, al quale si accedeva mediante breve gradinata, poi dismesso e sostituito verso la fine del XX secolo dall’attuale mensa in noce. In alto, esattamente al centro della parete, si osserva un bell’affresco datato 1898 e realizzato da P. Carmine Donadio, raffigurante la Santissima Trinità. Del medesimo autore l’altro affresco, la Visita di Maria alla cugina Elisabetta (1898), campeggiante sulla volta della navata. Sono presenti due simulacri della Madonna delle Grazie, sostanzialmente simili, entrambi opere devozionali del XX secolo.

L’ingresso è sovrastato dalla cantoria in legno, utilizzata ancora oggi dal coro parrocchiale, e da una lapide che rimanda all’artefice delle decorazioni: “LAVORO ESEGUITO DA GIUSEPPE ARONNE DI PIÈ. DECORATORE. MDCCCXCIX”.

La facciata esterna, essenziale, realizzata con blocchi tufacei squadrati e ben allineati, orientata a sudest, alloggia in un’edicola ricavata tra l’architrave del portone e il timpano superiore, una statuetta della Madonna al di sotto della quale si legge l’epigrafe: “A MARIA SSMA  DELLE GRAZIE PROTETTRICE DI MORANO MONSIGNOR SALVATORE SALVATI ARCIPRETE GENEROSAMENTE COADIUVATO DAL POPOLO DIVOTO SU DISEGNO DELL’ARCHITETTO GAETANO MORELLI INNALZO’ QUESTO TEMPIETTO COMINCIATO NEL 1888 TERMINATO NEL 1897”.

 

La chiesa è attualmente interconnessa all’adiacente quattrocentesca cappella dedicata alla Madonna della Sanità per mezzo di un varco ricavato sul lato sinistro della navata, subito dopo l’ingresso (un’altra apertura, murata in epoca imprecisata, consentiva l’accesso alla piccola sagrestia). Detta cappella fu fatta erigere per grazia ricevuta da una locandiera del posto, la cui figlia guarì prodigiosamente per intercessione di san Francesco di Paola (si narra che il fondatore dei Minimi, dopo aver benedetto la Calabria sul monte Sant’Angelo, diretto al capezzale del re di Francia, fosse stato ospite in una taverna nei pressi di Terrarossa, ed essendo stato riconosciuto dalla pia anfitrione che lo supplicò di aiutare sua figlia gravemente ammalata, si fosse prodigato ottenendo dal Signore il repentino risanamento dell’inferma). Il polittico sovrastante l’unico altare, grossolanamente ricomposto nel 1941 con assi di legno, ma non più utilizzato per le celebrazioni da molto tempo, data l’angustia dell’ambiente, presenta, appunto, nella tela centrale la Madonna della Salute e sul riquadro destro san Francesco di Paola.

Recentemente è stata portata a termine una difficile opera di restauro del soffitto a cassettoni in legno e del manto di copertura che ha restituito, almeno in parte la bellezza originaria al complesso.

Ben visibili all’esterno sono i resti delle mura perimetrali e del timpano di un’antichissima struttura comunicante con la Sanità (si notano ancora i segni di un tardivo intervento che ha ostruito il collegamento fra i due vani). A seguito di indagini sommarie tenute in loco ed incrociando alcuni dati dell’archivio parrocchiale, possiamo ragionevolmente ritenere che si tratti della cappella extra moenia di San Vito o comunque di altro luogo di dipendente dalla Sanità (una casa canonica?). In ogni caso, per fugare dubbi e incertezze sarebbe sufficiente ripulire il sito dai cespugli che lo devastano e dal terreno di riporto accumulatosi nel tempo. Un’attenta campagna di scavo, poi, potrebbe confermare quanto riportano le carte, le quali riferiscono di sepolture effettuate nelle adiacenze della cappella: in quest’area, anteriormente all’editto di Saint Clou, solevasi inumare le persone morte in stato d’impenitenza.